ASIA,  MONGOLIA

Eagle Festival – Incontro con i cacciatori di aquile della Mongolia

Arrivano al galoppo i cacciatori a cavallo, avvolti in cappotti di pelliccia, con il copricapo di seta foderato di pelle di volpe e l’aquila appoggiata sul braccio. Sembra un film, ma è tutto vero.

 

Siamo all’Eagle Festival, sui monti Altai, nel nord-ovest della Mongolia, la parte più remota del paese. Qui, una volta l’anno, all’inizio dell’inverno, si ritrovano i cacciatori provenienti dalla regione del Bayan Ulgii, per partecipare ad un’emozionante gara di abilità e destrezza insieme alle loro aquile.

 

Eagle Festival, Mongolia


 

La caccia con l’aquila è un rito molto antico, culturalmente legato più al Khazakhistan che alla Mongolia, come del resto è anche la cultura e l’origine dei popoli che vivono in questa zona di confine, dove il  paesaggio è rimasto immutato nei secoli.

Sembra, infatti, di essere ancora ai tempi di Gengis Khan. Ancora oggi i cacciatori nomadi, che vivono in tende gher nella vasta steppa mongola, con fierezza e il viso segnato dal freddo, continuano una tradizione millenaria tramandata oralmente di padre in figlio.

 

Eagle Festival, Mongolia

 

La cerimonia di apertura inizia con la parata dei cacciatori che sfilano a cavallo con le loro aquile. Il loro abbigliamento è curato e riccamente decorato, l’atteggiamento è fiero e valoroso. L’aquila è appollaiata sul loro braccio protetto da un lungo guanto di cuoio spesso, e indossa un cappuccio di pelle, che le impedisce di vedere, fino al momento della caccia.

I cavalieri sono un centinaio: il più giovane ha 7 anni, il più anziano 83. Ci sono anche alcune, poche, ragazze, compresa Aisholpan, la tredicenne protagonista del documentario La principessa e l’aquila (2017 – I Wonder Pictures per la regia di Otto Bells).

Dal 2010 il Festival è riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.

 

Eagle Festival, Mongolia

 

Durante le gare ogni aquila viene portata a metà di una parete di roccia e le viene tolto il cappuccio, mentre il suo proprietario alla base della montagna, correndo a cavallo nel campo di gara, la chiama. L’aquila deve raggiungerlo e posarsi sul suo braccio mentre questi continua a cavalcare. Il punteggio è assegnato in base alla velocità dell’aquila e alla distanza del cavaliere dalla montagna.

Non tutti i cavalieri riescono nel tentativo, ma vederli all’opera è uno spettacolo indescrivibile e il pubblico incita tutti indistintamente.

 

Eagle Festival, Mongolia

 

Un vecchio cacciatore, che osserva lo spettacolo accanto a me, con gentilezza e pazienza mi spiega le regole delle varie gare. Parla kazako e capisce che non è la mia lingua, così si aiuta gesticolando. Non so come, ma ci intendiamo.

Il potere dei gesti e dei sorrisi!

 

Eagle Festival, Mongolia

 

Il legame tra il cacciatore e la sua aquila è forte, si basa su un’intesa profonda e assoluta fedeltà. Le aquile addestrate per la caccia sono femmine, sottratte dal nido appena nate, diventano più grandi e più aggressive dei maschi.

 

Eagle Festival, cacciatore di aquile, Mongolia

 

Il periodo di addestramento è lungo e complesso, finché l’aquila non affina la tecnica per cacciare di marmotte, lepri, conigli e soprattutto volpi.

Da ottobre ad aprile, durante la stagione di caccia, l’aquila, che ha una vista sei volte più acuta di quella umana, individua e cattura la preda, riportandola intatta al proprio padrone, nel rispetto di un vero e proprio codice etico: all’aquila va la carne, al cacciatore la pelliccia.

I bambini iniziano ad allenarsi già dall’età di sei o sette anni, quando il padre insegna loro l’arte della falconeria. Dopo aver catturato un piccolo aquilotto dal nido, iniziano la pratica di addestramento e di caccia.

Un’aquila rimane accanto al proprio padrone fino all’età di 9 anni, a metà della vita, quando viene liberata per sempre.

 

Eagle Festival, cacciatore di aquile, Mongolia

 

Continuano le gare. Il silenzio è interrotto solo dalle grida rauche dei cacciatori che chiamano le loro aquile e le incitano a dimostrare le proprie abilità a cacciare le prede.

Queste si lanciano in picchiata dalla sommità della montagna, si avvicinano al padrone e afferrano una pelle di volpe che tengono tra le mani. Allora il cacciatore con orgoglio porta in trionfo l’aquila che è riuscita nell’impresa, facendo un giro di campo al galoppo prima di ricompensarla con un pezzo di carne.

 

Eagle Festival, cacciatore di aquile, Mongolia

 

I due giorni di festival si concludono con le premiazioni.

I cavalieri si dispongono in fila davanti al palco delle autorità. I migliori vengono chiamati uno ad uno, si dice il loro nome e quello dell’aquila, la zona di provenienza e la famiglia di appartenenza. Ad ogni vincitore viene consegnata una pergamena, una busta con dei soldi e una medaglia, che i cacciatori mettono al collo della propria aquila.

 

Eagle Festival, cacciatore di aquile, Mongolia
Eagle Festival, cacciatore di aquile, Mongolia

 

Cosa sapere

  • E’ un viaggio impegnativo che richiede una grande capacità di adattamento. Siamo nell’estremo ovest del paese, a più di 1500 km, circa 3 ore di volo dalla capitale, Ulan Bator, in un luogo che sembra essere alla fine del mondo conosciuto.

 

  • A fine settembre in Mongolia l’inverno è già iniziato. Sono pochi i viaggiatori che si spingono fino alla zona degli Altai, perché in questo periodo il freddo è intenso e le comodità sono poche. E’ indispensabile un abbigliamento termico e adatto a temperature ben al di sotto dello zero (-15 !). E’ abbastanza facile trovare la neve.

 

  • Le strade asfaltate lasciano il passo a piste sconnesse, percorribili solo in fuoristrada e per muoversi ci si affida all’esperienza degli autisti che per orientarsi hanno come punti di riferimento le montagne, i fiumi e le stelle.

 

  • La natura selvaggia offre uno spettacolo straordinario: laghi, ghiacciai e valli circondate dai monti Altai, con cime di oltre 4mila metri.

 

La mia esperienza

Ho condiviso la mia esperienza con un piccolissimo gruppo di altri quattro viaggiatori. Con noi c’era anche Uugan, una ragazza mongola molto in gamba, che ci ha fatto da guida e interprete, e Mucko, il nostro abile e infaticabile autista. Abbiamo dormito nelle gher, le tipiche tende tonde dei nomadi, con sacco a pelo pesante per affrontare le temperature della notte, che in questo periodo arrivano anche a -15.

E’ stato un viaggio splendido nonostante i disagi. Anzi, un’esperienza unica proprio in virtù dei disagi, che ci hanno permesso di entrare ancora più in contatto con gli stili di vita nomade rimasti intatti nel tempo.

 

Mongolia

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